Se dietro la produzione di una pellicola c’è la firma di Joss Whedon, con alte probabilità si tratta di un prodotto di notevole valenza artistica. Dalle serie tv (Buffy, The Vampire Slayer) ai blockbuster più amati (The Avengers), è raro che Whedon non abbia lasciato il segno, tra sceneggiature, produzioni e regia. Senza ombra di dubbio, anche nel 2012 con Quella Casa Nel Bosco l’eclettico maestro ha dato il meglio di sé, in coppia col regista Drew Goddard.

quella-casa-nel-bosco-2-maxw-824Cosa ci aspetta dalla visione di questo film che apparentemente si propone come l’ennesimo horror americano pieno zeppo di cliché al limite del trash? Un esercizio di cinema, autoreferenziale, che strizza l’occhio alla nicchia dei b-movies e lo fa con una deliziosa dose di autoironia.

Sin dalla copertina è evidente che il film ci offre una serie di strati e substrati: una casa in legno, sospesa nell’aria, come a voler evidenziare che “sotto c’è qualcosa”.  Ed effettivamente, sotto c’è qualcosa di grosso. Persino il titolo è volutamente banale e didascalico, ma fermarsi all’apparenza di una trama vista e rivista sarebbe un errore imperdonabile per lo spettatore, in primis per gli amanti del genere.

quella-casa-bosco-v1-509341-1280x720

Gli ingredienti per un horror del ventunesimo secolo ci sono tutti: un gruppo di ragazzi del college (dal belloccio – niente poco di meno che Chris Hemsworth – alla biondina, dalla nerd al fattone, intellettuale compreso) si accingono a trascorrere il weekend lontani dalla frenetica vita di città. L’entusiasmo del gruppo è già smorzato lungo il tragitto verso “la casa nel bosco” da un inquietante figura che li mette in guardia: quello verso cui sono diretti è un luogo sinistro. Okay, ci siamo, ce lo aspettavamo. Andiamo avanti.

Dal loro arrivo alla suddetta casa in poi è tutto un susseguirsi di luoghi comuni e topos del genere horror: dopo una serata trascorsa tra alcol e scherzi, i cinque ragazzi scoprono che la cantina custodisce un’armamentario di oggetti a dir poco inquietanti. Tra questi, una di loro (Dana) trova un sinistro diario e – inevitabilmente – se ne lascia prendere a tal punto da leggerlo ad alta voce. Saranno le righe del diario che evocheranno, letteralmente, una repellente famiglia di zombie. Ma qui voglio fermarmi, lungi dal riempire di spoiler questo articolo, voglio solo analizzare il substrato di questo peculiare film.

Se state pensando che Quella Casa Nel Bosco è solo l’ennesima americanata – di cattivo gusto peraltro – state prendendo un abbaglio. Whedon e Goddard in questa pellicola tessono un’ode e, al contempo, una critica dell’industria cinematografica di cui essi stessi sono parte. Qui entra in gioco il metacinema, vero protagonista indiscusso: non solo perché di finzione è intrisa la sorte dei cinque ragazzi, ma anche perché tramite la storia ci viene raccontata la Hollywood odierna. Quanti sono i cliché che rendono un horror tale? Qual è la libertà concessa a un regista di distorcere i canoni consueti del genere e aspirare a creare un prodotto d’avanguardia? Secondo la coppia, quest’ultima è alquanto limitata: troppo poca l’elasticità concessa nell’industria del cinema horror; il Giappone ha le sue dead wet girls e l’Occidente lo splatter psicopatologico, a ciascuno il suo. 

quella_casa_nel_bosco_monster_movie_3

La metafora dei burattinai – nell’indagine del rapporto produttore-sceneggiatore-spettatore – compare più volte nel film e si riversa nell’immagine degli “antichi dei” pronti a sopraffare l’umanità. La coppia di burattinai Whedon-Goddard gliela fa avere vinta: è forse venuto il tempo di dare una possibilità a qualcun altro, l’umanità si è già data da fare. Così il film si libera in una catarsi volta a scrollarsi di dosso il convenzionale e ad affrancarsi come un’identità sì consolidata, ma facoltosa di sapersi reinventare.

In questa pellicola così atipica e unconventional c’è un uso sapiente del cambio di registri comunicativi: dal tragico al comedy è davvero un battito di ciglia. Ma non si può, infine, non menzionare una delle vere chicche di Quella Casa Nel Bosco che è tutto il repertorio di omaggi fatti al genere: nelle scene finali gli amanti dello splatter avranno di che godere in un’orgia visiva data da un vero bagno di sangue. Ci sono tutti, gli incubi degli spettatori: la nipponica Samara, Pennywise, la ballerina senza volto, lupi mannari, vampiri, mostruosi tritoni marini che guardano al cinema anni ’40 e così via in un exploit di personaggi ben noti a tutto il pubblico. Un omaggio che sigilla, dopo la critica più o meno aspra, l’amore ancestrale per un genere che ha molte più sfaccettature di sé da mostrare – vedasi l’omaggio esplicito al ramo del gore. 

Intelligente, brillante e pienamente riuscito. Lo guarderete?